Stavolta incontriamo un sincero innamorato di Napoli in musica, il Maestro Carlo Morelli. Artefice di tanti progetti, tanti riconoscimenti in bacheca, ma soprattutto musicista del Teatro di San Carlo, nonché direttore di un coro e di un progetto – That’s Napoli – fatto di giovani entusiasti che lo seguono con partecipazione su per le scale musicali dei suoi arditi arrangiamenti. Chi ascolta viene trasportato in una dimensione temporale e musicale dove i classici napoletani e Pino Daniele vengono miscelati con improvvisi squarci sonori su evergreen dei gruppi rock e progressive degli anni ’70 del calibro dei Queen, dei Police o, addirittura, John Lennon.
Maestro, lei lavora con un gruppo di giovani che la seguono brillantemente, ma qual è la sua posizione sui talent: cosa ne pensa?
Personalmente sui talent non mi esprimo, anzi non ne penso nulla. Ritengo che sia un fenomeno da baraccone, precipuamente televisivo, che utilizzi la musica per scopi commerciali. La discografia, oggi, utilizza la televisione per vendere il proprio prodotto. E dico prodotto, non a caso non dico musica, perché di musica e di linguaggio musicale, di materiali sonori all’interno di questi programmi, non c’è nulla. Ogni tanto, si ha la fortuna di vedere qualche persona di talento che però poi non riesce ad arrivare in finale perché le logiche perverse delle case discografiche dettano altre condizioni. Talento significa avere un dono, aver ricevuto in regalo la capacità particolare nel fare qualcosa. Molti ragazzi lo ricevono, ma questo dono purtroppo non viene poi messo in luce e quindi, ritornando alla domanda, i talent show sono dei simpatici programmi televisivi che utilizzano in maniera becera e qualunquista la musica, che è si un prodotto, ma alto, spirituale e portatore di straordinaria bellezza.
Per alcuni quella dei talent è musica in provetta, altri sostengono che è la musica del nostro tempo. Ma se è una musica del nostro tempo perché vengono seviziate le canzoni di David Bowie o dei Queen? Dov’è la testimonianza di questa nuova musica?
Allora, sicuramente la musica è espressione del proprio tempo storico. Oggi i rapporti si sono banalizzati e quindi sulla struttura che prospetta e promuove questa banalizzazione della società, naturalmente anche la proposta musicale paga pegno.
Io direi sostanzialmente che c’è un’aridità dei sentimenti. Però è anche vero che esiste un folto gruppo di persone che ha necessità di ascoltare un qualcosa che non sia una musica imposta. Oggi, per esempio, se pur talentuoso, un gruppo come i Pink Floyd non avrebbe nessuna possibilità di emergere perché le case discografiche sono occupate da persone incompetenti, personaggi provenienti casomai dal mondo della pasta o delle automobili. L’unico loro interesse è quello di vendere il prodotto, e se ci capita la musica, bene. Diversamente, se non c’è, non è necessario perché la cosa importante è che si venda il supporto CD come si potrebbe fare per un chilo di pasta o un paio di scarpe.
Assistiamo impotenti a questa desacralizzazione dell’aspetto musicale, transumando nella valle della stupidità.
La tecnologia è massicciamente presente anche nella musica di oggi con tante possibilità di lavorare brani, che sono files campionati, contrariamente a quello che significa dirigere un coro, avere a che fare con le voci, che in fondo è come fare artigianato, seppure in campo artistico. Dunque, è un danno oppure un beneficio?
La tecnologia non è né cattiva e né buona. Dipende da chi la usa. Se viene utilizzata da persone che hanno un’idea filosofica, un’idea musicale alta, la tecnologia esprime il meglio di sé stessa. Tanto è vero che ci sono delle incisioni, bellissime, che emanano calore emotivo. Così come ci sono prodotti pessimi, esclusivamente tecnologici nel senso becero del termine, e che non esprimono assolutamente nulla. È chiaro che per un artista, per un cantante, avere un prodotto bello e valido anche dal punto di vista tecnologico è il massimo perché noi studiamo tanto per raggiungere qualità e livelli di perfezione sempre più alta nella musica che facciamo, anche se la gente non lo sa. Ma ritorniamo alla tecnologia.
Certamente oggi ne siamo fagocitati, siamo attanagliati dalla tecnologia…
Secondo me, si tratta di qualcosa che consente ad un bravo artista di potersi esprimere nel miglior modo possibile. Perché quello studio effettuato, che è uno studio rigoroso, viene messo in pratica grazie ad una tecnologia seria, diversamente forse da prima, quando era più difficile poter esporre le proprie fatiche.
Nel contempo, però, la tecnologia, diventa anche un pericoloso strumento di massificazione perché da la possibilità a qualsiasi sprovveduto di poter assurgere alla categoria dei musicisti. Quindi, diciamo, bisognerebbe fare una differenziazione nella persona che sceglie la tecnologia, che si affida ad una tecnologia, e soprattutto a quell’etichetta discografica o a quel gruppo che decide poi di portare avanti un prodotto musicale.
Patrizia Stabile