Per l’informazione nazionale questa è la domenica dei “Giorgi”. A dominare le aperture di quotidiani e tiggì, infatti, sono i volti di Giorgio Napolitano e di Giorgia Meloni, il primo per la scomparsa, la seconda per la ricorrenza del primo anno di vita del suo governo.
Ovviamente, con quelli orientati da una parte impegnati a difendere l’uno ed attaccare l’altra, mentre quelli dall’altra forniscono un’informazione uguale e contraria.
Perché la regola giornalistica all’italiana è quella di dichiarare “prima” con chi si sta per sentirsi poi liberi di poter dire le peggiori (e spesso poco veritiere) accuse agli avversari, nascondendosi dietro il “diritto di cronaca”. Ecco, questo nel Bel Paese è il concetto che si ha dell’onestà intellettuale.
Non passa neanche di striscio come questo concetto faccia riferimento all’equidistanza e all’obbiettività, anziché alla furbizia, che è la materia prima, ma anche la condanna dell’italietta che gioca a fare la superpotenza industriale.
Del resto siamo andati avanti per una vita, dal dopoguerra in poi, a costruire un Paese piccolo, piccolo, ma che furbescamente cercava di darsi un tono da grande potenza al cospetto del mondo. Un errore che parte da lontano, dalle fondamenta dell’unità d’Italia, potremmo dire, quando il conte di Cavour (un furbetto della politica che i libri di scuola ci spacciano per grande statista – ndr) attua una serie di azioni strategiche per trasformare il microscopico ma indebitatissimo Piemonte in un moderno (per l’epoca: anno 1861) Stato-Nazione unitario. Una manovra attuata facendo cassa con l’invasione (e non unione) del pacifico e ricco Regno delle Due Sicilie, e guerre sempre dalla parte dei più forti, per poi sedersi ai successivi tavoli delle trattative.
Non è un caso se dall’estero guardano da sempre all’italietta come un Paese del quale è bene istituzionale non fidarsi.
Una visione che viene sancita più tardi (1921) a lettere di fuoco da Giuseppe Prezzolini che divide (di nuovo!) l’Italia in due grandi categorie: quella dei furbi e quella dei fessi.
Ma è quello che accade dopo la seconda guerra mondiale a delineare il futuro crepuscolare di un Paese che – pure – vanta un passato culturale che mette soggezione a chiunque, se non fosse il presente a bilanciare tanta grandezza con la sua esponenziale, mastodontica ed incalcolabile…piccineria!
Una piccineria che si consuma in una serie di “finte” riforme, “finti” partiti, “finta” legalità, “finta” politica, “finte” Mani Pulite e perfino “finto” campionato di calcio, che serve alla squadra più bella del reame (non a caso anch’essa piemontese) a “fingere” di essere una delle “grandi” d’Europa.
Insomma, una serie di cose finte che ha costruito un Paese conseguenzialmente finto, dove niente di tutto quello che si vedeva era vero, compreso la democrazia. Eppure leggiamo ancora lo stupidario verbale della “Costituzione più bella del mondo” che ci viene somministrato come uno sciroppo!
Del resto, il conflitto istituzionale tra Governo centrale e Regioni che altro è, se non la conseguenza del “finto” federalismo concesso dal PDS di D’Alema alla Lega-Nord di Bossi con la modifica del Titolo V della Costituzione
Vorremmo tanto poter dare ragione a Ennio Flaiano, in una delle sue citazioni più famose che potete leggere qui a lato. Ma la sensazione netta è che questo modello dell’italico politichese è giunta al capolinea, da dove è impossibile riprendere un cammino fatto di bugie e falsità.
L’ora di una nuova visione, di autonomia reale messa in campo da forze diverse che intendono la definizione di “politica” come “progetto” di vita futura per una società, non è più prorogabile. Né si comprenderebbero gli esiti della continuazione di un percorso fallimentare e fallito, tra l’altro costruito sulle spalle di un Sud relegato a ruolo di comparsa e, come se non bastasse, tacciato di essere la “…palla al piede del Nord produttivo”.
L’ultima bugia di un regime dittatoriale, giunto al suo triste ma stavolta sincero crepuscolo.
Gino Giammarino