La pietas

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È mai possibile che una guerra abbia o produca delle cose buone? È mai possibile che una carneficina come quella che viene consumata nel conflitto israelo palestinese in questi giorni possa servire a qualcosa? Certamente i palestinesi stanno facendosi il loro olocausto e i loro martiri per costruirsi una immagine di vittime che poi useranno per decenni e per secoli nei loro giorni della memoria per guadagnarsi la commiserazione e il consenso del mondo intero a tutto vantaggio della loro coesione interna e della considerazione internazionale. Israele sta cercando di allargare il proprio territorio cosa che è da sempre un obiettivo basilare della politica estera israeliana.

 

Si confrontano da un lato un modello di vita e di economia, quello israeliano, con un preciso ruolo delle multinazionali, della tecnologia, della donna, un certo tipo di famiglia e di impresa, un preciso diritto pubblico e privato fortemente influenzato dal concetto di uguaglianza…mentre dall’altro un altro modello di vita e di economia con altri ruoli (se non opposti) di ognuna di queste componenti; due modelli che ritengono di non poter condividere lo stesso spazio nello stesso tempo; uno dei due deve sopravvivere. Ma entrambi hanno alle spalle un potenziale enorme -praticamente infinito- per poter combattere a lungo e quindi la vittoria di uno dei due  non potrà mai essere completa.

 

Ma il metodo adottato per arrivare alla prevalenza o almeno sopravvivenza dell’una o dell’altra parte -appunto la guerra “totale” non ha nulla di positivo. Noi scopriamo che in quelle regioni la pietas cristiana sembra non essere conosciuta. La pietas è quel sentimento che ha ispirato Michelangelo, che assomiglia alla carità e alla tolleranza, che è l’anticamera del perdono e del quieto vivere; è quel valore cristiano che esisteva prima della venuta di Gesù e che si è venuto affinando nei secoli fino a mettere fuori legge genocidi e crociate, punizioni e pena capitale pervenendo a promuovere la intangibilità della vita umana.

 

Questo valore non sembra essere bagaglio di quelle popolazioni (dell’una e dell’altra parte) che potrebbero negare il proprio sostegno e contributo al conflitto nonché ai capi che lo promuovono e che scatenano tutta la tecnologia a propria disposizione per uccidere e distruggere anche obiettivi civili. E invece non lo fanno.

 

Molti di noi occidentali si professano atei ma sono portatori inconsapevoli di questo valore e quindi sono profondamente sdegnati di questa carneficina che non capiscono e non condividono. Attorno a questo sentimento si uniscono persone di ogni razza superando differenziazioni e superbie per ritrovarsi uniti nel condannare questa barbarie.

 

Che questa tragedia possa aprire un varco per un dialogo tra le genti? Che questo periodo di profonde trasformazioni geopolitiche possa generare un villaggio globale in cui le popolazioni non siano più portate con il guinzaglio lì dove pochi decidono? ma siano esse a determinare almeno i valori minimi di civiltà -quindi imprescindibili- come la sacralità della vita umana cui ispirarsi??

 

CANIO TRIONE

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